
Cambiamenti climatici? La colpa è del Niño!
Quest’inverno è stato fortemente condizionato a livello mondiale dall’influenza del Niño, fenomeno climatico che provoca l’aumento della temperatura delle acque dell’oceano Pacifico.
Le conseguenze sono piogge, nevicate abbondanti e alluvioni, ma anche siccità e temperature anomale. Ed è quello che è accaduto a dicembre 2015: Sud-america e parte dell’Europa Settentrionale travolti da violente piogge e allagamenti e il resto dell’Europa, Stati Uniti e buona parte dell’Asia “surriscaldati”.
Le cause sono ancora incerte
Il fenomeno, che si ripete ogni cinque anni circa, fu individuato per la prima volta dai pescatori peruviani, che segnalavano un anomalo riscaldamento delle acque del Pacifico centrale a ridosso del Natale: si spiega così il nome El Niño, riferito a Gesù Bambino.
La scienza ha soltanto accertato che il Niño è provocato dall’interferenza tra due diverse tipologie di onde che spazzano il Pacifico in senso opposto, favorendo lo spostamento di enormi masse d’acqua: ciò determina notevoli modificazioni (aumento oppure diminuzione) nella temperatura di vaste zone dell’oceano. Tuttavia, non è stata individuata con certezza la causa prima del problema.
Il “bambino” rientra in quella zona d’ombra sui meccanismi climatici sui quali non è ancora stata fatta chiarezza. Malgrado l’incertezza, c’è chi li addebita (discutibilmente) al più vasto fenomeno del cambiamento climatico, provocato dalle emissioni di CO2.
Circa le cause di quest’ultimo, invece, non ci sono più dubbi sul ruolo negativo giocato dall’uomo.
Negli ultimi 5 anni, secondo il Worldwatch Institute 140 milioni di persone hanno abbandonato le loro terre per sfuggire a disastri naturali connessi al clima. E sono in rapido aumento i conflitti per il controllo dei pascoli, dei suoli fertili e delle risorse idriche.
A Parigi si è concluso poco o niente
La COP21 (la Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), che si è appena conclusa a Parigi, ha purtroppo partorito un topolino. Davanti agli evidenti mutamenti del clima rilevati dalla scienza e anche dal semplice “occhio umano”, i Paesi della Terra hanno solo concordato di continuare rimandando alla buona volontà dei singoli il contenimento dell’aumento della temperatura globale a “solo” 1,5 gradi. Si è deciso anche di creare un fondo per aiutare i Paesi più poveri a contenere le emissioni, ma il vero problema rimane quello dei Paesi che per livello di consumi (USA, Europa) o per apparato industriale (Cina) contribuiscono al 75% del cambio climatico.
Urge un drastico cambio di rotta
Il fenomeno del Niño ha messo a nudo nelle nostre città quanto ci sia ancora da fare.
Sono bastati 30 giorni di siccità e temperature fuori norma per tornare ad alti livelli di inquinamento, con punte insostenibili nelle metropoli industriali cinesi.
Blocco delle auto, targhe alterne e simili non sono che palliativi che non riescono a fare rientrare nella norma l’aria che respiriamo. È il prezzo che paghiamo e che continueremo a pagare per non voler affrontare seriamente la transizione energetica verso nuove fonti rinnovabili e a basso impatto ambientale. L’economia del carbone e del petrolio continua a determinare l’andamento del clima e i cambiamenti climatici.
Il calo generalizzato dei prezzi di mercato di queste materie prime ha l’effetto di rimandare ancora una volta misure definitive di contrasto del cambio climatico.
L’emergenza ambientale rientrerà per quanto riguarda gli aspetti più spettacolari, ma rimarrà la principale questione irrisolta nel mondo globale, e non dovrebbero essere più ammessi improvvisazione e temporeggiamenti sul piano politico perché si possa vincere.
Come ricordava recentemente papa Francesco nella sua Enciclica sull’ambiente: la natura non perdona.
Immagine di apertura: © Gustavo Frazao | Dreamstime.com
