
Cibo biologico: è sempre la scelta migliore?
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Più salutari e sostenibili oppure soltanto una trovata di marketing ed un lusso per pochi privilegiati? Scopriamo se vale davvero la pena spendere di più per acquistare prodotti di origine biologica e vediamo perché biologico non è – sempre – sinonimo di qualitativamente superiore.
Gusto, salute e sostenibilità: queste sono le tre motivazioni principali che, ogni anno, spingono milioni di consumatori italiani ad acquistare prodotti alimentari biologici, ovvero coltivati e/o allevati attraverso tecniche che prevedono l’utilizzo esclusivo di sostanze naturali, escludendo quindi quelle di sintesi chimica, sia che si tratti di concimi, diserbanti e/o pesticidi.
Nonostante i prodotti di origine biologica siano, almeno da un punto di vista teorico, indubbiamente migliori per l’ambiente, per i lavoratori e – nella maggior parte dei casi – per il benessere a 360° dei consumatori, non dobbiamo nemmeno trascurare il “lato oscuro” del biologico, un termine che sempre più spesso viene utilizzato come specchietto per allodole da aziende che di sostenibile hanno ben poco e che non perdono l’occasione di rincarare i propri prodotti sulla base della loro presunta salubrità.
Tutto questo senza considerare che i prodotti biologici sono in media notevolmente più costosi rispetto ai loro corrispettivi provenienti da coltivazioni di tipo convenzionale. Da qui nascono non solo importanti questioni di tipo etico (il cibo biologico è un lusso per pochi? e, di conseguenza, l’accesso ad un cibo più salutare è prerogativa solo dei più agiati?), ma anche interrogativi di più ampio spettro circa la reale equità e sostenibilità dei sistemi alimentari globali (qual è il “prezzo reale” – in termini ambientali e sociali – del cibo proveniente da grandi colture intensive, che fanno largo uso di pesticidi e fertilizzanti di origine chimica?).
In questo articolo, andremo quindi alla scoperta dei vantaggi e degli svantaggi del cibo biologico, evidenziando come questo non sia universalmente la scelta migliore per tutti e per tutte le tipologie di alimenti, senza per questo negare il fatto che un ritorno a tecniche agricole più vicine alla natura e alle sue esigenze è certamente la direzione da prendere per un sistema alimentare globale più sostenibile e – sul lungo andare – anche più equo.
Ma prima di avventurarci nel cuore della nostra discussione, è necessario fare un po’ di chiarezza sul reale significato del termine “biologico”, un termine tanto inflazionato quanto ancora avvolto da un alone di confusione.
Cibo biologico, questo sconosciuto: definizione
Che l’aggettivo “biologico” sia sempre più spesso utilizzato in modo indiscriminato per promuovere prodotti che di biologico hanno ben poco è ormai cosa assodata, così come lo è il fatto che ci sia ancora molta confusione sul reale significato di questo termine – e le sue implicazioni per la nostra salute, l’ambiente, ed anche per i lavoratori impiegati nell’industria alimentare.
Per questo, prima di valutare vantaggi e svantaggi del cibo biologico, è necessario partire dalla definizione di cibo biologico, comprendere quali sono le tecniche agricole che ne permettono la produzione, e quindi quali le principali differenze con i prodotti provenienti da agricoltura convenzionale.
Partiamo con il dire che il termine “biologico” viene utilizzato per identificare quei prodotti alimentari ottenuti attraverso metodi di coltivazione e allevamento che rispettano determinati standard e regolamenti. Tra questi, il principale a livello europeo è il Regolamento (UE) n. 2018/848 — Norme relative alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, che viene poi adattato in diverse normative nazionali a seconda del Paese considerato (ecco perché diversi Paesi possono presentare diverse definizioni e standard di etichettatura per quando riguarda lo stesso prodotto di origine biologica).
Più nello specifico, la produzione di cibo biologico si basa sull‘uso di pratiche agricole e zootecniche che minimizzano l’uso di prodotti chimici e sintetici, come pesticidi, fertilizzanti artificiali, antibiotici e ormoni di crescita. Il tutto con l’obiettivo ultimo di promuovere un impiego più sostenibile delle risorse naturali, così come il benessere degli animali e quello dei lavoratori occupati nel settore agricolo.
Quattro sono i pilastri alla base della produzione di alimenti biologici:
- Evitare l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici sintetici: al loro, posto gli agricoltori biologici utilizzano alternative naturali, come compost organico, letame animale ed altri prodotti di origine vegetale (tra i più comuni troviamo l’olio di Neem o macerato di ortica) per proteggere le colture dai parassiti e dalle malattie e, al tempo stesso, arricchire il suolo di preziose sostanze nutritive;
- Promuovere la biodiversità naturale del terreno: tecniche agricole quali la rotazione delle colture e la consociazione (ovvero una pratica atta a sfruttare le interazioni positive tra diverse piante e minimizzare quelle potenzialmente dannose) in modo da preservare e promuovere la naturale biodiversità interna di un terreno, a sua volta funzionale a mantenere i delicati equilibri ecosistemici e favorire così il controllo biologico dei parassiti;
- Favorire l’accumulo di carbonio nel suolo: la fertilizzazione del suolo ottenuta attraverso pratiche come la letamazione, il sovescio (l’interramento di piante, soprattutto leguminose, in grado di sottrarre azoto all’atmosfera e fissarlo nel suolo) e la rotazione delle colture fa sì che vi sia un maggiore accumulo di carbonio organico nel terreno, il cosiddetto “sequestro del carbonio”, portando, nel complesso, all’emissione di circa il 40 % di gas serra in meno rispetto all’agricoltura tradizionale. A ciò si sommano le minori emissioni di azoto e metano dovute all’uso di concimi naturali al posto dei fertilizzanti chimici e al divieto di bruciatura delle biomasse previsto dai regolamenti per la certificazione dei prodotti biologici;
- Bandire l’utilizzo di organismi geneticamente modificati (OGM): la produzione biologica impone strette limitazioni sull’uso di OGM nell’agricoltura e nell’allevamento, in modo da ottenere un cibo quanto più possibile naturale e sicuro per la salute umana.
Gli stessi principi sono applicati anche per quanto riguarda l’allevamento degli animali (ad esempio, garantendo loro condizioni di vita quanto più simili a quelle in natura, attraverso l’accesso a spazi aperti, l’uso di mangimi contenenti almeno il 95% di ingredienti biologici e restrizioni sull’uso di antibiotici e ormoni di crescita) e la pesca (ponendo particolare attenzione alla salvaguardia di alcune specie marine, in particolar modo quelle a rischio di estinzione).
Cibo biologico: perché è migliore?
Il risultato delle pratiche elencate sopra è un cibo più sostenibile (non solo le aziende agricole biologiche si impegnano a proteggere e valorizzare la naturale biodiversità di un territorio, ma, attraverso l’utilizzo di pratiche agricole che promuovono l’accumulo di carbonio organico nel suolo, producono nel complesso, il 40 % di gas serra in meno rispetto a quelle basate su metodi di coltivazione tradizionali), sano e sicuro (per essere etichettati come “biologici”, gli alimenti devono essere certificati da organismi riconosciuti, che verificano il rispetto dei regolamenti previsti per legge ed assegnano loro il marchio biologico).
Inoltre, l’agricoltura biologica tende a promuovere la sicurezza dei lavoratori (ad esempio attraverso maggiori controlli per quanto riguarda la qualità dell’aria e una minor esposizione degli stessi a prodotti nocivi di origine chimica) e a sostenere le realtà locali, contribuendo così allo sviluppo economico e sociale del territorio di origine dei prodotti in questione.
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. Alcuni studi hanno infatti dimostrato come non sempre il cibo biologico sia nutrizionalmente superiore rispetto a quello proveniente da attività agricole di tipo tradizionale, e come –per alcune tipologie di prodotti- non faccia davvero la differenza acquistare un prodotto biologico o uno “convenzionale”.
Inoltre, gli alimenti biologici tendono ad essere generalmente più costosi rispetto a quelli ottenuti attraverso tecniche agricole tradizionali (sia perché i costi di produzione sono più alti, ma anche perché le rese sono tipicamente inferiori rispetto a quelle ottenute attraverso tecniche agricole convenzionali), sollevando importanti considerazioni etiche – e non solo. Scopriamo quindi insieme perché il biologico non è – sempre – la scelta migliore.
Quando e perché biologico non è sinonimo di migliore?
Se i vantaggi di consumare cibo di origine biologica sono spesso esaltati, è molto più raro trovarsi davanti ad articoli e trattazioni che ne evidenziano invece aspetti meno lusinghieri.
Da un lato, il termine “biologico” è molto spesso utilizzato in modo errato o fuorviante dalle aziende per cavalcare la crescente domanda di prodotti biologici da parte dei consumatori, sfruttando le differenze normative tra diversi Paesi o rispettando in modo parziale gli standard previsti dalle normative sull’agricoltura biologica.
Dall’altro, è importante notare anche come un alimento biologico non è sempre e necessariamente più salutare, così come il cibo convenzionale non è automaticamente poco sicuro per la nostra salute. Questo dipende in parte dalle norme che mirano a regolamentare entrambi i tipi di produzione alimentare, che -ancora una volta- spesso variano da paese a paese, ma anche dal fatto che, per alcune tipologie di prodotti, il metodo di coltivazione non fa poi così tanto la differenza.
In particolare, alcuni prodotti ortofrutticoli, anche noti con il nome di “Clean 15”, necessitano in genere di una minore quantità di pesticidi e antiparassitari di origine chimica rispetto ad altri alimenti provenienti sempre da coltivazioni convenzionali. Di conseguenza, i consumatori possono sentirsi sicuri nell’acquistare questi prodotti senza dover ricorrere a quelli provenienti da agricoltura biologica, peraltro più costosi e generalmente più difficili da reperire. Secondo la classifica pubblicata ogni anno dall’Environmental Working Group (EWG), rienterano tra i cosiddetti Clean 15 i seguenti prodotti (ordinati in modo decrescente da quello più a quello meno sicuro) : avocado, mais dolce, ananas, cipolla, papaya, piselli dolci surgelati, melanzane, asparagi, cavolfiore, melone cantalupo, broccoli, funghi, cavolo cappuccio, melone verde e, infine, kiwi.
A questi si contrappongono invece il gruppo della cosiddetta “Dirty Dozen” (“la sporca dozzina”), che include alcuni prodotti agricoli che necessitano di un elevato quantitativo di pesticidi e fertilizzanti per crescere in salute, e per i quali sarebbe dunque meglio prediligere i corrispettivi di origine biologica. Nell’elenco dei 12 cibi “ sporchi” troviamo: fragole, spinaci, kale (cavolo riccio), nettarine, mele, uva, ciliegie, pesche, pere, peperoni e peperoncini piccanti, sedano e pomodori.
Allo stesso tempo, la presunta superiorità in termini salutistici del cibo bio viene messa in discussione da diversi studi scientifici che sono stati condotti per confermare (o smentire) gli eventuali vantaggi nutrizionali di questo rispetto a quello convenzionale. Le ricerche hanno prodotto risultati contrastanti: mentre alcuni studi suggeriscono che il cibo biologico può contenere livelli leggermente superiori di alcuni nutrienti, la differenza non può essere considerata clinicamente significativa per la salute umana.
Infine, gli -ancora- elevati costi del cibo biologico (soprattutto rispetto a quello coltivato in modo “convenzionale”) sollevano importanti questioni etiche, riguardanti in particolare le disparità di accesso ad un cibo salutare e sicuro tra diverse regioni globali e tra diverse fasce di reddito all’interno dello stesso Paese.
Senza contare il fatto che l’adozione di tecniche agricole biologiche su larga scala appare ancora un’utopia, poichè i rendimenti delle colture biologiche sono in genere significativamente inferiori rispetto a quelli ottenuti mediante tecniche agricole convenzionali, e dunque inadeguati a sopperire ai bisogni di una popolazione mondiale in rapida crescita.
Insomma, possiamo concludere che biologico non è (sempre) sinonimo di migliore!
Cibo biologico: alcune riflessioni finali
In conclusione, mentre il cibo biologico offre indubbi vantaggi in termini di sostenibilità e rispetto della biodiversità naturale, salubrità e riduzione all’esposizione di residui chimici e, cosa da non sottovalutare, qualità complessiva del prodotto, questo non si traduce automaticamente – o, perlomeno, non sempre – in una sua superiorità rispetto a quello proveniente da agricoltura convenzionale.
Da un punto di vista etico, il cibo biologico è mediamente più costoso rispetto a quello proveniente da coltivazioni tradizionali, al punto da essere spesso considerato come un lusso riservato a pochi, ponendo così seri interrogativi etici circa l’iniquo accesso tra diversi Paesi e regioni del globo ad un cibo salutare e di qualità. Senza contare che le colture biologiche -con i loro bassi rendimenti- mal si prestano a sfamare una popolazione mondiale in rapida crescita.
Ecco perché -lungi dal demonizzare le colture biologiche– l’auspicio è che queste trovino sempre più spazio nei sistemi agricoli globali, cosa possibile solo attraverso l’affiancamento di quelle convenzionali. Tra l’altro, ciò potrebbe portare, sul lungo termine, ad una riduzione dei prezzi al consumatore delle prime.
Infine, da non sottovalutare è anche il fatto che sempre più spesso il termine “biologico” viene utilizzato in maniera impropria o ingannevole, rimpinguando le casse di grandi e piccole aziende impegnate in strategie di greenwashing, il tutto a detrimento dei consumatori, che perdono così fiducia nei confronti di quei prodotti che realmente sono più sostenibili e migliori per la salute nostra e del Pianeta.
In definitiva, per fare acquisti più consapevoli è bene indagare a fondo il reale significato di termini che vengono frequentemente utilizzati più come slogan che per indicare il reale valore aggiunto di un prodotto, e questo vale anche – e forse soprattutto – per il cibo biologico, certamente migliore sotto molti punti di vista rispetto a quello convenzionale, ma non per questo universalmente superiore.
