
Coronavirus e riduzione dell’inquinamento atmosferico: tutto ciò che devi sapere
Coronavirus: smartworking e misure di lockdown hanno ridotto l’inquinamento atmosferico?
L’attuale situazione di emergenza sanitaria, dovuta alla rapida diffusione del nuovo Coronavirus, sta portando con sé importanti conseguenze che influiscono in modo considerevole sulla nostra quotidianità. Infatti, tutte le misure di lockdown adottate dalle Istituzioni per contenere la diffusione del Covid-19 portano ognuno di noi a dover modificare le proprie abitudini: a partire dal lavoro da remoto per arrivare all’uscire di casa solo ed esclusivamente per necessità.
Le conseguenze del radicale cambio di abitudini sono più che evidenti: limitazione degli spostamenti al minimo necessario e riduzione notevole del consumo nella maggior parte dei settori di produzione. È così che il Coronavirus, modificando le nostre abitudini quotidiane, genera cambiamenti piuttosto curiosi anche nell’ambiente che ci circonda.
Di cosa si tratta? In poco meno di un mese questo virus ha portato alla riduzione quasi completa degli spostamenti a livello globale (soprattutto in ambito lavorativo) e alla diminuzione notevole della produzione legata alla richiesta di acciaio, petrolio e combustibili fossili. La conseguenza a livello ambientale? Una riduzione mai registrata prima dell’inquinamento atmosferico a livello mondiale, anche e soprattutto in Cina, Paese da sempre tra i primi per emissione di sostanze nocive nell’atmosfera.
È proprio la NASA, Agenzia Spaziale degli USA, a diffondere alcune foto da satellite riguardanti la concentrazione di NO2 in Cina prima e dopo la diffusione del virus. L’NO2 è noto anche come biossido di azoto ed è uno dei principali responsabili della bassa qualità dell’aria e dell’inquinamento atmosferico. Secondo i valori registrati dalla NASA, il calo dell’inquinamento atmosferico si è registrato dapprima nella Regione di Wuhan, epicentro della pandemia, per poi espandersi considerevolmente in tutto il Paese.
(Fonte: The Guardian)
Valori di NO2 così ridotti non si rilevavano in Cina dalla profonda crisi economica dell’anno 2008: questo può dare un’idea di quanto l’attività produttiva possa influire sull’emissione di sostanze nocive nell’aria. Come si è verificata una riduzione così drastica in un solo mese? Semplicemente mediante la limitazione di tutti i trasporti, tra i primi quelli aerei, e grazie alla riduzione totale dell’attività di produzione legata ai combustibili fossili.
Se le immagini NASA relative alla Cina hanno fatto il giro del mondo in poche ore, anche quelle dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) riguardanti il Nord Italia, altra zona particolarmente colpita dal virus, si stanno diffondendo molto velocemente sul web. Infatti, le foto scattate dal satellite Sentinel-5P del programma europeo ESA Copernicus evidenziano una diminuzione considerevole della presenza di NO2 nell’aria della Pianura Padana. Anche in questo caso si tratta di un cambiamento repentino, che avviene in concomitanza con l’adozione delle misure di lockdown prestabilite dalle Istituzioni.
(Fonte: European Space Agency)
Nel Nord Italia, soprattutto nel milanese, la rapida riduzione dell’inquinamento atmosferico si deve in particolare alla limitazione dei trasporti: infatti, in Lombardia le misure adottate dal Governo hanno portato ad una limitazione quasi totale degli spostamenti, soprattutto di quelli lavorativi (particolarmente utilizzati nella città di Milano). Infatti, la pratica del lavoro agile o smartworking si è diffusa rapidamente in queste zone, portando con sé risultati inaspettatamente positivi sia a livello professionale che ambientale.
Lo smartworking riduce l’inquinamento atmosferico: è vero?
Il lavoro agile è un altro grande protagonista di questo particolare periodo: infatti, le ultime disposizioni delle Istituzioni italiane hanno previsto che tutte le aziende – ad eccezione di quelle implicate nella produzione di beni di prima necessità – debbano adottare lo smartworking come modalità di lavoro o cessare la propria attività produttiva.
Sono molte le attività che già da settimane, soprattutto in Lombardia, hanno deciso di sperimentare il lavoro agile. I risultati professionali si stanno rivelando particolarmente positivi e, inaspettatamente, sono state riscontrate conseguenze ottime anche a livello ambientale.
Infatti, si stima che in soli 15 giorni lo smartworking abbia permesso di registrare il 35% in meno di Pm10 e il 31% in meno di NO2 nell’area del Nord Italia. Questi i risultati derivanti da una ricerca effettuata dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Ricerca Ambientale, in collaborazione con YoutQuake, Fondazione UniVerde e Opera2030.
(Fonte: Fondazione UniVerde)
La ricerca evidenzia che le pratiche di smartworking e di lavoro a distanza hanno avuto un impatto significativo sull’inquinamento atmosferico della Regione Lombardia, da sempre una delle zone più inquinate d’Europa. Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’Ambiente e presidente della Fondazione UniVerde, commenta così i risultati ottenuti:
“Il ricorso massiccio a pratiche di smartworking e di formazione scolastica e universitaria telematica ha avuto un rilevante impatto sulla qualità dell’aria in una delle aree più inquinate d’Europa. Da questa emergenza Coronavirus il nostro Paese dovrà imparare non solo a sostenere il Sistema Sanitario Nazionale, soggetto ad assurdi tagli negli ultimi anni, ma occorrerà anche investire su lavoro e formazione da remoto tramite strumenti digitali”.
L’attuale situazione in ambito lavorativo dovrebbe trasformarsi in uno spunto di riflessione in futuro, volto a capire che le aziende più attrezzate potrebbero prendere in considerazione lo smartworking come modalità di lavoro ordinaria. Il fine? Risparmio economico notevole, maggiore produttività dei dipendenti e – soprattutto – un importante contributo alla causa ambientale grazie alla riduzione dei trasporti e degli spostamenti per motivi lavorativi.
Il Covid-19 si trasmette più velocemente in ambienti più inquinati?
È vero che l’inquinamento atmosferico e la presenza di polveri sottili nell’aria ha favorito la diffusione del virus? Questa la domanda che ha recentemente sollevato uno studio della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) in collaborazione con le Università di Bologna e di Bari. Questa ricerca avanza l’ipotesi che le polveri sottili possano essere vettori di contagio e trasmissione di virus e altri contaminanti batteriologici.
La ricerca nasce dal confronto tra i dati pubblicati riportati sui siti delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale e i dati relativi al contagio diffusi quotidianamente dalla Protezione Civile. Confrontando questi studi, emergerebbe una relazione tra il superamento dei limiti imposti dalla Normativa riguardo alla concentrazione di Pm10 nell’aria e il numero di casi di contagio da Covid-19, soprattutto nella zona della Pianura Padana. Gli studi incrociati riguardano un periodo di circa 15 giorni, più precisamente tra la fine del mese di Febbraio e l’inizio del mese di Marzo, periodo particolarmente importante in ottica diffusione del virus in Italia.
La ricerca incrociata sostiene che il virus possa attaccarsi al particolato atmosferico e, di conseguenza, propagarsi per lunghe distanze. Inoltre, secondo questa teoria il virus potrebbe rimanere nell’atmosfera per alcune settimane, aumentando considerevolmente il rischio di contagio anche a lungo termine.
In relazione a questa ricerca non esiste alcuna prova scientifica in grado di dimostrarne la veridicità effettiva. Infatti, l’Arpa della Regione Veneto ha dichiarato:
“È possibile affermare con chiarezza che, al momento, non esistono studi approvati e condivisi dalla comunità scientifica in grado di dimostrare che la diffusione del Coronavirus sia causata dall’inquinamento da particolato atmosferico”.
Il dibattito riguardo all’argomento è tutt’oggi aperto: gli enti scientifici continuano a lavorare alla ricerca di nuovi sviluppi in grado di dimostrare o screditare definitivamente la tesi.
Conclusioni
Quali conclusioni possiamo trarre sull’argomento coronavirus e ambiente? Certamente gli spunti di riflessione sono molti. Infatti, questa emergenza sanitaria, seppur in modo assolutamente inaspettato, ci ha mostrato una realtà diversa, ponendoci di fronte ad una opportunità di riflessione e cambiamento importante.
Come già affermato, il cambiamento forzato delle nostre abitudini quotidiane ha inevitabilmente portato con sé degli sviluppi positivi per l’ambiente che ci circonda. Questo cambiamento dovrebbe essere vissuto da ognuno di noi come un’occasione per ripensare alle nostre abitudini quotidiane e riorganizzare i nostri modelli di sviluppo.
Infatti, l’inquinamento atmosferico provoca ogni anno ben 8 milioni di morti premature troppo spesso ignorate. La situazione attuale ci mostra che una rivoluzione delle nostre abitudini nel rispetto dell’ambiente circostante non è impossibile: partendo dallo smartworking, passando per la riduzione dei trasporti e arrivando al senso di responsabilità civile e ambientale di ognuno di noi.
