
Dagli USA una bioplastica speciale, ricavata dai gusci d’uovo
È possibile utilizzare nanoparticelle di guscio d’uovo per ricavare materiale biodegradabile da impiegare per il packaging, così diffuso per la confezione di imballaggi soprattutto nel settore alimentare.
Un recente studio scientifico in merito è stato presentato al 251° convegno dell’American Chemical Society, la più importante società scientifica al mondo che conta circa 150.000 iscritti, che si è appena tenuto a San Diego (13-17 marzo).
L’idea nasce dall’apparente fragilità del guscio d’uovo, ma anche dalla sua incredibile resistenza alla compressione alla pressione verticale: e così, aggiungendo piccolissimi frammenti di guscio ai materiali biopclastici già in uso, si ottiene un composto che si piega e si allunga, ma non si rompe facilmente. Inoltre si tratta di un materiale poroso, molto leggero e ricco di carbonato di calcio, elemento che si decompone rapidamente.
“Abbiamo ridotto i gusci delle uova in frammenti minutissimi che poi abbiamo aggiunto a una speciale bioplastica che abbiamo ottenuto”, spiega Vijaya Rangari, uno degli scienziati che seguono il progetto. “Queste nanoparticelle aumentano la resistenza del materiale e lo rendono più flessibile [circa 7 volte di più] di qualsiasi altro materiale bioplastico attualmente sul mercato”. I gusci vengono lavati, sciolti grazie all’azione di un polimero e poi esposti a onde ultrasoniche che riducono i frammenti in nanoparticelle che sono oltre 350.000 volte più sottili del diametro di un capello umano.
Ci si augura che queste caratteristiche meccaniche, nonché l’assoluta biodegradabilità, siano una forte motivazione per investire nella produzione di un materiale alternativo per gli imballaggi. A livello mondiale, infatti ogni anno vengono prodotte 300 milioni di tonnellate di plastica – la maggior parte delle quali ricavate da petrolio o altri idrocarburi – che hanno tempi lunghissimi di smaltimento e che se bruciati rilasciano nell’atmosfera diossido di carbonio, estremamente dannoso per la salute. La plastica può essere riciclata solo un limitato numero di volte e costituisce inoltre gran parte dei rifiuti urbani.
Per quanto concerne la bioplastica che si ricava invece dall’amido di mais, dalle patate dolci o da altri vegetali, essa è sì biodegradabile, ma non ha la resistenza e la flessibilità necessaria a garantire un prodotto di qualità. Ecco quindi che, anche dal punto di vista commerciale (oltre all’impatto ambientale pari a zero), questo studio potrebbe portare all’adozione di bioplastica, “corretta” con guscio d’uovo (che noi solitamente ci limitiamo a buttare nel sacchetto dell’umido), un elemento facilmente reperibile in ogni angolo del pianeta.
