Come combattere il cambiamento climatico: dal protocollo di Kyoto alla XXI Conferenza delle Parti.

Una lunga storia: il dibattito sul clima globale

Fino a quando le attività umane continueranno a incidere sui cambiamenti climatici?

Un problema internazionale che, nella Conferenza Internazionale di Parigi di fine anno, troverà un raro momento condiviso per prendere decisioni importanti.

Il tentativo più serio di coordinamento degli sforzi globali per combattere il cambiamento climatico – il problema ambientale considerato la priorità assoluta dalla comunità internazionale – è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Nasce dal Primo Vertice della Terra di Rio de Janeiro 1992, e due anni più tardi entra in vigore con le caratteristiche di un trattato quadro di diritto internazionale, non vincolante rispetto alla diminuzione delle emissioni inquinanti, ma che ha come obiettivo la stipula di “protocolli” vincolanti tra gruppi di Stati per avanzare nella direzione della riduzione di anidride carbonica immessa nell’atmosfera.

Il più noto di questi protocolli è quello approvato nel 1997 a Kyoto ed entrato in vigore nel 2005. Il Protocollo di Kyoto impegna alcuni dei paesi firmatari (le vecchie potenze industrializzate) a ridurre le loro emissioni di CO2. Il punto debole del Protocollo, sottoscritto nel frattempo da 185 Paesi, è stata la posizione degli Stati Uniti (Paese che da solo è responsabile per il 22% delle emissioni di CO2) che lo hanno approvato senza poi ratificarlo, e i mancati vincoli per i paesi del Sud del mondo che non hanno voluto sacrificare le loro chances di sviluppo caricandosi dei costi di un controllo delle emissioni.

A Parigi, tra il 30 novembre e il 11 dicembre di quest’anno si terrà la XXI Conferenza delle Parti (COP 21), una nuova puntata sulla difficile via della riconversione delle attività umane che incidono sul clima mondiale. L’obiettivo, dopo 20 anni di trattative, è quello di concludere un accordo vincolante e universale sul clima globale, accettato da tutte le nazioni. Un risultato che sa di utopia, e non solo perché molti nuovi paesi che non intendono accettare limitazioni sono entrati nel “club” dei grandi inquinatori (Cina, India, Brasile), ma anche perché il mondo versa in una situazione di eccesso di produzione di idrocarburi (e di conseguenza di prezzi, che sono la metà rispetto a un decennio fa). Petrolio, gas, carbone sono abbondanti e a buon mercato e difficilmente il mondo vi rinuncerà ora.

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È proprio il tipo e il costo dell’energia il punto centrale perché si verifichi o meno una transizione energetica che permetta di centrare gli obiettivi di riduzione. Le fonti rinnovabili sono promettenti, ma richiedono investimenti e tempi lunghi per incidere sui consumi. Per questi motivi è difficile che a Parigi si riesca a concludere un accordo, ma è importante che si tenga in vita questo tavolo globale su un problema che non è possibile contrastare localmente. La Convenzione sul Clima delle Nazioni Unite rimane l’unico contesto internazionale condiviso per tentare di regolamentare un problema globale, e per questo va difesa e sostenuta a prescindere dalla lentezza del suo procedere.

 

Immagine di apertura: © Oleksandr Kalinichenko | Dreamstime.com

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