filiera corta storie di produttori a chilometro zero

Filiera corta: storie di produttori a km 0

La filiera corta è un sistema di produzione e distribuzione di prodotti alimentari che accorcia le distanze fra produttore e consumatore, facendogli ritrovare sulla propria tavola cibi più genuini, salutari, economici e sostenibili.

La filiera corta e il km 0 si stanno sempre più affermando come modalità alternativa per produrre e vendere prodotti alimentari di qualità: dalla frutta e verdura rigorosamente di stagione, alla carne e al pesce freschi e biologici; dal latte e formaggi, fino al riso e alla pasta fatta in casa; dalle conserve come marmellate, sottaceti, miele, fino alle bevande come la birra artigianale e il vino biologico.

Con la filiera corta, il mercato dei consumi si orienta verso la sostenibilità, con il duplice guadagno sia per il consumatore, che compra prodotti di alta qualità a prezzi ragionevoli, si per l’economia del territorio, che torna a fiorire.

Ma che cos’è esattamente la filiera corta? 

Gary Paul Nabhan, un etnobotanico americano originario dell’Arizona, pubblicò nel 2011 il libro “Coming Home To Eat” in cui racconta la sua storia di sopravvivenza consumando solo cibi provenienti da un raggio di 220 miglia dalla sua casa in Arizona. Pochi anni dopo, nel 2005, i giornalisti James B. MacKinnon e Alisa Smith hanno ristretto il raggio a sole cento miglia, cibandosi per un anno di prodotti provenienti esclusivamente dal territorio circostante la loro casa di Vancouver, in Canada.

coming home to eat libro

Da questi esperimenti nacque il concetto di filiera corta, ovvero accorciare sempre di più le distanze fra chi produce e chi consuma, per avere cibo di qualità ad un buon prezzo. Per rendere questo sistema di produzione e distribuzione applicabile su larga scala, sono state varate leggi e provvedimenti in molti Stati, volti ad incentivare la cultura del “chilometro zero”.

In Italia la prima regione che si è dotata di una legge specifica per regolare la filiera corta, è la regione Veneto, che nel 2008 ha varato una legge per regolare le attività di distribuzione e ristorazione che, in percentuali comprese fra il 30 e il 50%, si approvvigionano di prodotti di origine locale. Il risultato, fu una vera e propria rinascita dei mercati contadini (chiamati anche Farmer Markets), dove agricoltori e allevatori offrivano prodotti direttamente al consumatore, saltando la grande distribuzione. Anche la ristorazione ha adottato la filiera corta come un’opportunità di diversificazione dei propri servizi sul mercato, servendo piatti cucinati con ingredienti “a chilometro zero” e riscoprendo ricette della tradizione locale.

Perché scegliere la filiera corta?

Oltre alla qualità dei prodotti, che, come abbiamo visto, sono quasi sempre di provenienza biologica, scegliere la filiera corta è anche un modo per fare la spesa in maniera sostenibile. Sicuramente vi sarete accorti camminando per le corsie di un qualunque supermercato, della incredibile quantità di prodotti disponibili: dal reparto ortofrutta a quello della macelleria, dal banco del pesce agli sterminati scaffali di prodotti alimentari, la scelta è pressoché illimitata.

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Ma quali sono le conseguenze di questo tipo di scelta? Secondo una indagine di Coldiretti, negli ultimi anni in Italia le importazioni di frutta e verdura dall’estero hanno raggiunto un valore complessivo di circa due miliardi di euro. I prezzi di questi prodotti sono molto competitivi e trovano un varco nel mercato dei consumatori, ma il costo per la produzione di questi alimenti per il pianeta è enorme.

Mediamente, per arrivare su una tavola occidentale, un pasto medio ha viaggiato per un totale di oltre 1900 chilometri (un dato che troviamo nel libro “An Inconvenient Truth – Una scomoda verità’, del premio nobel Al Gore). Per comprendere meglio di che cosa si sta parlando, possiamo pensare al fatto che un vino australiano deve percorrere oltre 16000 chilometri per giungere al nostro bicchiere, consumando quasi 10 kg di petrolio ed emettendo una trentina di chilogrammi di CO2, oppure che la frutta cilena genera per ogni chilogrammo di prodotto più di 22 kg di anidride carbonica, viaggiando per oltre 12000 chilometri e consumando oltre 7 kg di petrolio.

Ci troviamo dunque di fronte al fatto che questo sistema di consumo globalizzato non è sostenibile né dal punto di vista ambientale né da quello economico. Senza contare i costi in termini di spreco alimentare: le quantità di cibo che ogni giorno vengono gettate o sprecate durante il processo di produzione e distribuzione, è imbarazzante.

Per fortuna però la ribellione nei confronti degli sprechi e delle assurdità del sistema commerciale si sta diffondendo, in Italia i risvolti positivi della filiera corta sono numerosi: dalla competitività dei prezzi dei prodotti che non subiscono i ricarichi generati dalla grande distribuzione, alla freschezza e genuinità degli alimenti, che non necessitano di metodologie di conservazione (es. celle frigorifere, additivi chimici e conservanti). I cibi a chilometro zero inoltre, viaggiando su brevi distanze, riducono il consumo energetico e le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera.

Nelle aziende agricole inoltre, gli agricoltori coltivano seguendo i ritmi della natura e  si possono trovare solo prodotti di stagione, in netta contrapposizione con l’astagionalità tipica della grande distribuzione. Sempre più ricerche dimostrano come la stagionalità dell’alimentazione sia importante per il benessere fisico e mentale del’organismo perché più varia e nutriente. Con la filiera corta si riscoprono infatti le varietà locali degli alimenti, considerate minori dalla rande distribuzione, come il cipollotto Nocerino DOP, o il caciocavallo podolico del Gargano.Da sottolineare inoltre è la valorizzazione delle varietà di cereali che la produzione agricola industrializzata ha soppiantato, ma che sono state recentemente oggetto di progetti di recupero e conservazione della biodiversità. Da un punto di vista etico inoltre, la filiera corta costituisce un forte mezzo di sostentamento per i tanti piccoli e medi produttori agricoli, schiacciati dalla crisi economica e tagliati fuori dalla grande distribuzione.

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Da non trascurare, infine, la socialità legata all’acquisto locale: fare la spesa sostenibile nei mercati contadini è spesso un’occasione per fermarsi ad osservare i prodotti, parlare, confrontarsi con i produttori, stabilendo rapporti di fiducia reciproca.

Dove fare la spesa sostenibile a filiera corta

Oltre al classico mercato cittadino e ai gruppi di acquisto solidali, nell’era del digitale, anche fare la spesa può essere fatto online, risparmiando tempo e scegliendo comodamente i prodotti dal divano di casa propria. In un sistema di filiera corta, come fare per competere con questa nuova modalità di acquisto, senza perdere i vantaggi del chilometro zero?

In Francia, nel 2011 nasce un nuovo progetto per fare la spesa sostenibile online senza rinunciare alla filiera corta e ai valori di socialità e condivisione che si generano dell’incontro fra produttori/agricoltori e consumatore finale.

L’alveare che dice sì

alveare che dice sì

Il progetto si chiama Alveare che dice sì ed è una piattaforma online che mette in contatto produttori e consumatori, ma, a differenza delle altre piattaforme, non rinuncia all’incontro diretto fra agricoltori e consumatori.
Gli alveari infatti (sono già più di 800 in tutta Europa) sono dei punti di incontro in città, dove avviene la consegna dei prodotti acquistati online, che, naturalmente, sono diversi a seconda della zona. La spesa quindi si fa sia online, che di persona, dove si può discutere sul prodotto, o chiedere consigli sull’utilizzo e sulle tecniche di conservazione.Interessanti sono anche le storie dei produttori, agricoltori e allevatori, che raccontano cosa c’è dietro al prodotto finito che si sta acquistando, eccone alcune.

  • Orti Sociali (frutta e verdura di stagione)

Moreno Baggini, Vice Direttore della Caritas Diocesana di Tortona, nel marzo del 2014 ha voluto unire il concetto di filiera corta e agricoltura sostenibile, ad un’esperienza di progettazione ed attuazione di percorsi riabilitativi e di integrazione lavorativa realizzati attraverso l’attività agricola, chiamata agricoltura sociale. Nasce così il progettoOrti sociali di Voghera“, 3 ettari di orto dove si coltivano frutta e verdura di stagione, secondo i ritmi della natura e con i metodi del biologico.

Le finalità del progetto sono:

  • Promuovere percorsi riabilitativi terapeutici attraverso il lavoro agricolo;
  • Attivare percorsi occupazionali finalizzati al recupero ed alla valorizzazione delle fasce deboli a rischio di esclusione sociale;
  • Promuovere percorsi di sensibilizzazione e sviluppo della responsabilità sociale della comunità
  • Utilizzare le risorse agricole per generare benessere sociale;
  • Progettare un modello di sviluppo agricolo/economico sostenibile a partire dalla multifunzionalità propria dell’agricoltura
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In agricoltura infatti c’è una predisposizione naturale per la valorizzazione delle persone di tutte le età e questa attitudine ha consentito di alimentare un welfare locale inclusivo più umano e rispettoso delle fragilità; come accadeva nelle famiglie contadine, dove tutti i componenti hanno sempre avuto la loro opportunità di lavoro, dai più giovani ai più anziani, senza sfruttamento, ma funzionale alle loro capacità ed età.

Guarda il video del progetto Orti Sociali

Le pratiche di agricoltura sociale del “Progetto Orti sociali di Voghera” offrono inoltre un rilevante contributo allo sviluppo del territorio e delle comunità rurali locali, in quanto creano nuove opportunità di reddito e di occupazione, offrono concrete prospettive di inclusione sociale per soggetti vulnerabili e migliorano la qualità della vita nelle aree rurali, utilizzando varietà vegetali autoctone e storiche.

  • Azienda Agricola “La Peracca” (nocciole)

L’azienda agricola la Peracca si trova a Casalborgone, un comune del Monferrato in provincia di Torino,
L’azienda, a conduzione famigliare, gestisce 40 ettari di terreni coltivati a nocciole, cereali, ortaggi e colture per biomasse con finalità energetica. L’amore per la terra e i valori di tradizione e rispetto della natura, sono stati trasmessi di padre in figlio, come il lavorare tutti insieme per il successo dell’impresa.
L’azienda è entrata a far parte del progetto Alveare che dice sì, e tra i suoi prodotti più venduti e apprezzati c’è la crema di nocciola spalmabile, una alternativa sana e genuina alle creme spalmabili che si trovano al supermercato.

  • Bordona Farm (riso Carnaroli e carne pregiata)

Situata nel comune lodigiano di Valera Fratta, tra Pavia e Milano, la Bordona Farm è una azienda agricola biologica a conduzione familiare che produce riso (varietà Carnaroli, anche in semi integrali) ed alleva bovini da carne. L’azienda è a conduzione famigliare ed è gestita da Antonio e i suoi due figli, Alberto ed Andrea.
A differenza di altre aziende agricole, qui è stata mantenuta anche l’architettura a quadrilatero, tipica delle cascine lombarde e l’ambiente, i fabbricati, i larghi spazi sono tutti molto belli e curati.

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Oltre alla produzione di riso, qui si allevano circa 300 capi da carne, tutti di razza Limousine. Gli animali vengono curati uno per uno fin dalla nascita, vengono lasciati liberi di pascolare negli ampi terreni erbosi a collinetta e alimentati per il 95% da prodotti che arrivano dalle coltivazioni aziendali e a base di foraggi freschi (erba per circa 3 mesi l’anno).

Guarda il video sull’allevamento etico di Bordona Farm

 

 

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