
Fiori giapponesi: varietà, leggenda e significato
Fiori giapponesi: dall’Hamani all’Ikebana il valore dei fiori nel Sol Levante
Con l’arrivo della primavera i fiori giapponesi diventano protagonisti dell’Hanami, un termine che può essere tradotto come “guardare i fiori” e fa riferimento a una tradizione millenaria che ogni anno attira nella terra del Sol Levante milioni di visitatori da ogni parte del mondo.
In Giappone il legame tra uomo e natura è sacro e i fiori giapponesi hanno un grande valore nella cultura del Paese asiatico, dove sono protagonisti di antiche leggende e affascinanti pratiche come l’Ikebana.
L’Ikebana, conosciuta anche con il nome di kadō, è una vera e propria forma d’arte che attraverso l’uso di fiori recisi permette di creare composizioni floreali equilibrate e armoniose. Il concetto principale alla base dell’Ikebana, che significa “fiori viventi” o “portare il fiore alla vita” o “via dei fiori”, in riferimento ai principi dello Zen, è il rapporto che lega cielo (il ramo più lungo), terra (il ramo più corto) e uomo (il ramo intermedio).
Nata in India e Cina, la disciplina dell’Ikebana si diffonde e sviluppa nel Giappone del VI secolo insieme al Buddhismo, la religione che portò nella terra del Sol Levante l’usanza delle offerte floreali votive. In seguito, la disciplina del kadō si trasformò in espressione artistica e inizialmente fu praticata solo dagli aristocratici e dai monaci buddhisti prima di raggiungere anche le classi sociali meno elevate.
I più conosciuti stili dell’Ikebana sono:
- Rikka: una parola giapponese che significa “fiori in piedi” e indica le composizioni più complesse e formate da sette elementi.
- Nageire: uno stile più semplice in cui si utilizzano vasi con la bocca alta e stretta.
- Seika: o Shoka, uno stile Rikka semplificato, più sobrio, semplice ed elegante.
- Moribana: il significato è “fiori ammassati”. Si tratta di composizioni formate da molti fiori e i vasi utilizzati sono bassi e larghi.
- Heika: caratterizzato da contenitori alti e stretti e fiori dalle linee oblique.
- Chabana: significa “fiori per tè” ed è lo stile utilizzato durante le tipiche cerimonie del tè giapponesi.
Esistono diverse scuole in Giappone dove imparare l’arte dell’Ikebana e ognuna è caratterizzata dal proprio stile. Tra le più famose ci sono:
- Ikebono
- Wafu
- Ohara
- Sogetsu
I rami dei fiori di ciliegio sono tra i più utilizzati nell’Ikebana, ma quali sono i fiori originari del Sol Levante che si possono ammirare anche nelle eleganti e geometriche composizioni kadō?
Scopriamo insieme le varietà di fiori giapponesi più conosciuti e amati nel mondo, cosa si nasconde dietro il loro significato e quali sono le leggende che li hanno resi immortali.
Fiori giapponesi: i segreti dei fiori dal significato alle leggende
Ecco quali sono le varietà più belle di fiori giapponesi, il loro significato e le leggende che in Oriente li hanno resi celebri.
Kiku: è il nome giapponese del crisantemo, un genere di piante angiosperme dicotiledoni appartenente alla famiglia delle Asteraceae. Il genere comprende numerosi ibiridi e varietà coltivate come piante ornamentali.
Il crisantemo è il simbolo del Giappone e sullo stendardo dell’imperatore giapponese, al centro di uno sfondo rosso, è raffigurato un Kiku dorato di sedici petali. Il fiore nazionale del Sol Levante è il simbolo della vita e della giovinezza ma il suo significato, come spesso accade ai fiori, varia in base al colore. Bianco è simbolo di verità e amicizia pura, giallo simboleggia un amore trascurato, rosso è l’emblema dell’amore.
La leggenda giapponese che ha per protagonista il fiore di Kiku racconta che in un piccolo villaggio tra le montagne del Giappone viveva una bambina con la sua mamma. Con l’arrivo della stagione autunnale tutti i fiori cominciarono ad appassire tranne una margherita che la bambina portò a casa e mise in un vaso.
Ben presto l’autunno lasciò spazio al gelido inverno e la mamma della bimba si ammalò. La piccola, disperata, presa la sua margherita e andò nel bosco dove vivevano le divinità per chiedere agli spiriti di aiutare la mamma in cambio del fiore. Uno spirito accolse la richiesta della bambina e le disse che la sua mamma avrebbe vissuto tanti anni quanti erano i petali del fiore che portava in dono.
La margherita però aveva pochi petali e la bambina, prima di consegnare il fiore, tagliò ogni petalo in così tante striscioline che contarle sembrava impossibile. Grazie al suo gesto, nacque il crisantemo, detto anche fiore dai mille petali, e la bambina visse molti anni felici insieme alla sua mamma.
Hasu: è il nome giapponese del fiore di loto e il suo significato è “purezza dell’anima”. Appartiene alla famiglia delle Nelumbonaceae, comprende due specie, la Nelumbo Iutea e la Nelumbo nucifera, e fece la sua prima comparsa sulla terra circa 80 milioni di anni fa.
È un fiore considerato sacro sia per il Buddhismo che per l’Induismo.
Un’antica leggenda che risale a più di duecento anni fa, racconta di una terribile epidemia che dal castello di Kinai, territorio oggi compreso nel distretto di Kyoto, si diffuse fino a Inumi e colpì il signore di Koriyama e la sua famiglia.
Un giorno, al castello giunse un’eremita e rivelò che solo piantando dei fiori di loto nel fossato della fortezza si sarebbero potuto allontanare gli spiriti maligni colpevoli di aver diffuso l’epidemia. Il signore di Koriyama decise di ascoltare l’eremita che, insieme al popolo, ripulì il fossato del castello e piantò i fiori di Hasu prima di scomparire nel nulla. Dopo pochi giorni il signore di Koriyama e la sua famiglia guarirono e il castello fu ribattezzato con il nome di Castello del Loto.
Alla morte del signore di Koriyama, il castello fu ereditato dal figlio che trascurò il fossato e i fiori di loto. Un giorno, un samurai vide due bambini che giocavano sul bordo del fossato e preoccupato cercò di allontanarli dal pericolo, ma i due caddero in acqua dopo avergli sorriso e sparirono. Tornato al castello il samurai riferì l’accaduto e gli alti funzionari decisero di dragare e pulire il fossato ma non trovarono tracce dei bambini e così il samurai venne prese in giro da tutti.
Qualche sera dopo un altro samurai, passando lungo il fossato, notò una dozzina di giovani ragazzi che giocavano vicino al bordo dell’acqua e scambiandoli per esseri maligni decise di colpirli con la spada. Solo al mattino il samurai si rese conto di aver ucciso gli spiriti del loto che avevano salvato il castello e il popolo dall’epidemia e, dopo aver recitato una preghiera per gli Hasu caduti, fece harahiki. Da allora i fiori continuarono a fiorire ma gli spiriti non furono mai più visti vicino al fossato.
Botan: è il nome giapponese che indica il fiore di peonia conosciuta in Europa con il soprannome di “rosa senza spine”. Appartiene alla famiglia delle Peoniacee e ne esistono diverse specie di due tipi diversi: erbacee e arbustive.
Il suo significato cambia in base al colore. Le peonie bianche sono associate alla purezza femminile, quelle rosate simboleggia il pudore e la timidezza, quelle di un rosa più acceso sono il simbolo della nobiltà d’animo, mentre le rosse rappresentano la sessualità.
In Giappone una delle leggende più famose sulla peonia è legata alla storia della principessa Aya che viveva nel castello Adzuchi-no-shiro a Gamogun nella provincia di Omi. La principessa era figlia di un ricco signore feudale di nome Naizen-no-jo che decise di dare in sposa Aya al secondo figlio del signore di Ako della provincia di Harima.
Una sera la principessa, insieme alla sua dama di compagnia, attraversò il prato del castello pieno di peonie per raggiungere il laghetto in cui amava specchiarsi, ma mentre si avvicinava all’acqua rischiò di cadere. A salvarla fu un giovane che scomparve subito nel nulla. La dama di compagnia di Aya non riuscì a vederlo e l’unica cosa che notò fu un luccichio. La principessa, invece, ne aveva colto ogni dettaglio: era un giovane samurai, alto e bello, di circa vent’anni con un vestito ricamato con le sue peonie preferite e la spada tempestata di pietre preziose.
Pochi giorni dopo Aya si ammalò e nessun medico riuscì a trovare la cura giusta per permetterle di arrivare in salute al giorno del suo matrimonio. Preoccupato, Naizen-no-jo convocò la dama di compagnia della figlia alla ricerca di qualche indizio utile che potesse aiutarlo a far guarire Aya. All’ancella non restò che rivelare la verità: dopo l’incontro con il misterioso giovane, la principessa si era ammalata d’amore.
Per risollevare un po’ il morale della giovane, Aya fu accompagna nel portico del palazzo per ascoltare un famoso suonatore di biwa, un liuto giapponese, e fu proprio durante l’esibizione del musico che il samurai apparve e si mostrò a tutti prima di scomparire, ancora una volta, improvvisamente.
Il signore del palazzo, deciso a catturare il samurai, chiese aiuto a un ufficiale molto famoso che accettò l’incarico. Fu così che una sera, mentre le ancelle suonavano, il giovane apparve nuovamente e l’ufficiale, avvicinandosi con discrezione, riuscì ad afferrarlo per la vita e tenerlo stretto ma improvvisamente si sentì mancare mentre del vapore umido colava sul suo volto.
Quando si riprese, l’ufficiale si rese conto che stava stringendo tra le mani una grossa peonia.
Fu chiaro a tutti che il giovane che aveva salvato Aya altro non era che lo spirito della peonia. La principessa decise di portare il fiore nella sua stanza per prendersene cura e, giorno dopo giorno, mentre il fiore cresceva sano e forte, la salute di Aya migliorava.
Quando la giovane guarì, il padre decise che era giunta l’ora di organizzare il matrimonio. Al termine della cerimonia la peonia fu trovata nel vaso morta e avizzita.
Tsubaki: è il nome giapponese del fiore di camelia, un genere originario delle zone tropicali dell’Asia che comprende 250 specie e appartiene alla famiglia delle Theaceaea. Il nome è un omaggio al missionario Georg Joseph Kamel, il botanico che per primo importò la pianta dal Giappone.
Anche in questo caso, il significato del fiore cambia in base al colore: la camelia bianca è simbolo di ammirazione e gratitudine, rossa simboleggia la passione, rosa è sinonimo di nostalgia, mentre le camelie variegate rappresentano fiducia e speranza.
La leggenda legata alla camelia racconta le gesta di Susanowo, dio del vento, della pioggia e dell’uragano, che viveva nel regno del serpente a otto teste. Il serpente ogni anno chiedeva in sacrificio la fanciulla più bella del paese e per liberare il popolo dal terribile mostro, Susanowo decise di scendere nel regno dei morti per costruire una spada in cui imprigionò un raggio di luce. Intanto in paese si stava organizzando il corteo per accompagnare al sacrificio la principessa Campo di riso.
Alle prime luci dell’alba il serpente apparve e Susanowo lo sfidò dando inizio a una difficile lotta che si concluse con la sconfitta del terribile mostro. Il dio del vento, allora, si avvicinò alla principessa per chiederla in sposa e quando la sua spada insanguinata toccò l’erba ogni stelo si tinse di rosso e nacque un arbusto dai fiori bianchi con sfumature porpora.
I fiori furono chiamati Tsubaki e diventarono il simbolo delle giovani ragazze cadute vittime del mostro.
Fuji: è il fiore del glicine, conosciuto in botanica con il nome di Wisteria, un genere di piante rampicanti della famiglia delle Fabacee. Il nome è un omaggio allo studioso di anatomia Gaspare Wistar, il primo che approfondì lo studio sulle caratteristiche del genere Wisteria.
Nel linguaggio dei fiori il glicine simboleggia l’amicizia capace di durare nel tempo e resistere alle avversità.
Protagonista del Great Wisteria Festival di Tokyo, il glicine nell’antichità era raffigurato sugli stemmi delle famiglie aristocratiche e ha ispirato il regista americano James Cameron che, dopo aver visto la foto di un glicine ultrasecolare in piena fioritura, l’ha scelto per realizzare l’Albero della Vita del film Avatar. Inoltre, il Fuji ha un grande valore simbolico nel Buddhismo Jodo Shinshu o Buddhismo Shin.
Nella terra del Sol Levante, la storia più famosa che ha come protagonista il glicine è quella del Fuji Musume, che tradotto letteralmente significa “La Nubile Glicine”, un balletto classico giapponese del teatro Kabuki.
Rappresentato per la prima volta nel 1826, Fuji Musume si svolge nella città di Otsu, vicino Kyoto. Un uomo, durante la sua passeggiata, si sofferma a osservare un dipinto venduto come souvenir. Sul quadro è ritratta una ragazza che rappresenta l’essenza del glicine, vestita con un eccentrico kimono dalle maniche lunghe e la tipica fascia chiamata Obi. La ragazza si innamora dell’uomo che la osserva con attenzione, prende vita ed esce dalla tela. La giovane comincia a scrivere lettere d’amore senza ricevere risposta e danza sotto un glicine, triste e disperata, fino a quando decide di rientrare nel dipinto.
Dall’Oriente all’Occidente, esiste anche una storia tutta italiana che racconta la nascita del glicine e fa parte della tradizione popolare piemontese. La leggenda narra che una giovane pastorella di nome Glicine piangeva disperata perché credeva di essere la più brutta tra le ragazze del suo paese. Un giorno, sola in mezzo a un prato, la fanciulla non riusciva a frenare le lacrime che cadendo sull’erba diedero vita a una pianta bellissima dal profumo inteso: il glicine. Circondata dal dolce profumo e dalla bellezza della natura, la ragazza riacquistò fiducia in sé stessa.
Ajisai: è il nome giapponese dell’ortensia, un genere di piante floreali appartenenti alla famiglia delle Hydrangeaceae. Il nome volgare della pianta si deve al naturalista Philibert Commerson che la introdusse in Europa nel XVIII secolo dopo un viaggio in Oriente.
Simbolo del quarto anniversario di matrimonio, il significato dell’Ajisai cambia in base al colore: bianca simboleggia la purezza dell’amore, rosa è l’amore sincero, blu è l’amore devoto ma volubile, rossa è simbolo di vitalità ed energia, gialla è sinonimo di positività e gioia, infine viola indica mistero e realizzazione spirituale.
L’ortensia è legata a una leggenda famosa in Oriente che racconta la storia d’amore tra Wang Baochuan, una giovane ragazza molto coraggiosa, e un uomo di nome Xue Rengui. Baochuan apparteneva a una famiglia molto ricca e quando raggiunse l’età per sposarsi chiese a suo padre il permesso di organizzare una cerimonia per scegliere il futuro marito. Secondo la tradizione, la ragazza avrebbe lanciato verso i pretendenti una palla di seta modellata in un fiore di ortensia.
Molti uomini si riunirono sotto il balcone della giovane in attesa del lancio e a loro si unì Rengui, un ragazzo di umili origini, appassionato di poesia e grande esperto di arti marziali. I genitori di Baochuan non sapevano che i due ragazzi erano segretamente innamorati e la cerimonia era solo un pretesto per ottenere il permesso di celebrare le nozze.
Quando Baochuan lanciò l’ortensia verso Rengui il padre della ragazza si adirò e proibì il matrimonio. La fanciulla però non cambiò idea e ai genitori non restò altro da fare che bandire la figlia e allontanare la coppia dal palazzo.
Baochuan e Rengui si sposarono e iniziarono una vita semplice e tranquilla. La giovane conosceva bene il talento e le aspirazioni del marito e lo incoraggiava ogni giorno a sostenere l’esame imperiale per poter esaudire il desiderio di servire il suo paese. Rengui non voleva lasciare sola sua moglie ma alla fine si lasciò convincere.
L’uomo superò l’esame e partì per il campo di battaglia mentre Baochuan rimase sola nella fredda grotta in cui vivevano in attesa del ritorno di suo marito. All’inizio riceveva notizie da Rengui ma con il tempo perse ogni contatto. La giovane dovette sopravvivere ai gelidi inverni e ogni tanto riceveva la visita di sua madre che per aiutarla le portava cibo e denaro, cercando di convincerla a tornare a casa e dimenticare suo marito.
Ma Baochuan non abbandonò mai la speranza di rivedere Rengui e dopo diciotto anni la sua lealtà e perseveranza furono premiate: Rengui conosciuto sul campo di battaglia come Generale Xue, tornò a casa.
Ume: è il nome giapponese del pruno, un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rosaceae. Coltivato sin dall’antichità in Giappone, Corea e Vietnam, la coltivazione del pruno nella terra del Sol Levante si divide in yabai (Ume selvatico), hibai (Ume rosso) e bungo (originario dall’omonima provincia). Fiorisce tra gennaio e febbraio quando la terra è ancora coperta di neve ed è simile al fiore di ciliegio.
Simboleggia la speranza, la purezza, la resistenza alle avversità della vita e la nobiltà d’animo.
Una leggenda giapponese narra che nel XVIII secolo, a Momoyama Fushimi, viveva Hambei, un vecchio giardiniere molto amato e rispettato dalla comunità.
Hambei amava prendersi cura del giardino che circondava la casa in cui viveva e dedicava particolari attenzioni al bellissimo pruno che tanti avevano cercato di acquistare. Il saggio giardiniere però aveva declinato ogni offerta perché l’albero era appartenuto a suo padre e a suo nonno ed era ormai diventato parte della famiglia.
Un alto ufficiale dell’imperatore, che desiderava avere il pruno di Hambei nel suo giardino, un giorno decise di mandare il suo servitore personale dal vecchio giardiniere per sottoporgli la sua proposta di acquisto. Le umili origini di Hambei lo costrinsero a non poter rifiutare la richiesta fatta da un aristocratico e alla fine il giardiniere accettò di cedere il suo pruno.
Quella notte Hambei non riusciva a dormire e verso mezzanotte sua moglie si precipitò in camera urlando che doveva vergognarsi di aver fatto piangere una giovane ragazza. Il giardiniere, sorpreso, chiese spiegazioni ma la moglie continuò a urlare dicendo che era un vecchio sporcaccione e doveva chiedere scusa alla fanciulla che piangeva nella loro cucina.
Hambei uscì dal letto per controllare cosa avesse davvero visto sua moglie e quando aprì la porta della sua abitazione trovò una ragazza che piangeva disperata. Era lo spirito del pruno che non voleva lasciare il luogo in cui era nato e cresciuto. Hambei spiegò allo spirito dell’albero che non aveva il potere di farla restare nel suo giardino ma le assicurò che avrebbe fatto un tentativo. La ragazza si asciugò le lacrime, sorrise al giardiniere e scomparve.
Il giorno stabilito il servitore dell’alto ufficiale si presentò a casa di Hambei con molti uomini e un carro per il trasporto del pruno. Il giardiniere provò a raccontargli che lo spirito dell’albero gli aveva fatto visita e cercò di restituire il denaro ma l’uomo si arrabbiò, iniziò a colpire Hambei e sguainò la spada per tagliarli la testa. A quel punto, lo spirito del pruno apparve e cercò di fermare il servitore che non volle sentire ragioni e colpì la ragazza.
Lo spirito scomparve e dal pruno si staccò un ramo su cui stavano sbocciando dei fiori. Pentito, il servitore si scusò con Hambei e decise di portare al suo padrone il ramo spezzato e raccontagli l’accaduto.
L’alto ufficiale, colpito dal racconto del servitore, inviò un messaggio di scuse a Hambei dicendogli che poteva tenere sia l’albero che il denaro. Ma il pruno dopo il colpo inferto dal servitore, e nonostante le amorevoli cure del giardiniere, seccò e morì.
