
La sfida islandese al petrolio
Da anni in vetta alle classifiche delle capitali più green, Reykjavík non si accontenta e punta a diventare la prima città ecosostenibile del mondo.
Da alcuni anni gli occhi del mondo sono puntati su Reykjavík e, in particolare, sulla sperimentazione che la città sta conducendo nell’ambito dei trasporti pubblici e le fonti rinnovabili.
Nella rete urbana sono già stati inseriti autobus a idrogeno, e qua e là in città hanno fatto la loro comparsa alcune stazioni di ricarica. Nel frattempo le autorità islandesi stanno valutando anche l’alternativa elettrica e il biogas.
Il traguardo dichiarato è ridurre a zero le emissioni di gas a effetto serra.
La strada è ancora molto lunga – non a caso il parlamento si è dato come scadenza il 2050 – ma per le dimensioni limitate del territorio e per la sua scarsa densità abitativa, l’isola situata sul 66° parallelo nord è il terreno ideale per una start up sui trasporti ecologici.
Reykjavík città verde
Reykjavík è già da molti anni tra le capitali più green del mondo perché tutte le abitazioni e le industrie del Paese utilizzano esclusivamente energia geotermica e idroelettrica.
In altre parole oltre l’80% dell’energia primaria utilizzata in Islanda proviene da fonti rinnovabili.
Un dato eccezionale e in buona parte frutto del “talento naturale” del Paese, che abbonda di cascate e fenomeni geotermici. Secondo la National Energy Authority (NEA), solo il 20-25% della capacità idroelettrica e il 20% di quella geotermica sono impegnate dalle attività umane.
I trasporti: ultimo tassello
Che cosa manca, dunque, all’Islanda per diventare al 100% sostenibile? Proprio una rete di trasporti green perché finora, come nel resto del mondo, automezzi, navi (pescherecci, soprattutto) e aerei dipendono dai combustibili fossili.
Oltretutto, a causa del territorio geologicamente instabile, non si è mai potuta dotare di una rete ferroviaria. E, poiché non possiede giacimenti petroliferi, è costretta a importare dall’estero il carburante. Non a caso in Islanda la benzina costa come in Italia.
Già 45 anni fa si pensava all’idrogeno
Non sorprende, dunque, che l’interesse islandese per l’idrogeno abbia radici lontane: era il 1970 quando il professor Bragi Árnason, docente di chimica all’università di Reykjavík, lanciò l’idea.
Considerata sul momento irrealizzabile, essa venne rispolverata anni dopo, e nel 1998 il parlamento islandese diede il via ufficiale ai lavori di transizione dai combustibili fossili all’idrogeno e ad altre fonti rinnovabili. La recessione economica iniziata nel 2008 e abbattutasi sull’Islanda come un terremoto ha comportato una battuta d’arresto nella ricerca.
Ma da qualche anno il progetto è tornato in cima all’agenda del Governo e si è riaperta la sfida islandese al petrolio e ai combustibili fossili.
Non ci resta che guardare in alto, verso il 66° parallelo.
Articolo di Federica Guarnieri
Immagine di apertura: © Jeremyreds | Dreamstime.com
