Seabin, una soluzione contro l'inquinamento marino

Seabin: una soluzione contro la spazzatura e l’inquinamento marino

Da una parte un mare oberato di spazzatura, in superficie e nei fondali. Dall’altra due surfisti australiani che hanno a cuore le sorti dell’equilibrio ecologico marino.

Il risultato si chiama Seabin ed è un bidone della spazzatura pensato per il mare, capace di rimuovere bottiglie di plastica e rifiuti solidi, ma anche tracce di detersivi e idrocarburi. Il progetto, messo a punto da due ragazzi australiani ha già raccolto grazie al crowdfunding oltre 260.000 dollari USA e verrà prodotto su ampia scala e distribuito in tutto il mondo.

Quanta spazzatura c’è in mare?

Secondo l’ultima indagine condotta da Goletta Verde lo stato di salute del mare non è certo confortante: nel mar Mediterraneo si possono contare mediamente 32 rifiuti galleggianti ogni chilometro quadrato con un numero più alto nel mar Tirreno, dove si arriva a contarne 51. La quasi totalità di questi rifiuti è composta da materiale plastico, spesso più del 90%.

spazzatura e inquinamento marino

In 205 ore di osservazione sono stati raccolti 2597 rifiuti galleggianti, percorrendo 2.500 km di navigazione. E questo racconta solo quello che è possibile vedere a occhio nudo. È stato stimato, invece, che il 70% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino scendano nelle acque profonde e si accumulino una volta raggiunto il fondale. Il problema della spazzatura in mare costituisce il 10° descrittore degli undici punti programmatici su cui la Marine Strategy, la direttiva europea 2008/56, si è ripromessa di intervenire. La carta è dedicata alla protezione dell’ambiente marino e al raggiungimento di un miglior stato ecologico.

La plastica, nemico numero uno

L’ONU definisce inquinamento marino «l’introduzione diretta o indiretta da parte dell’uomo nell’ambiente marino di sostanze o di energie capaci di produrre effetti negativi sulle risorse biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime e sulla qualità delle acque».

Tra i molti aspetti di questo fenomeno, quello più evidente, che si percepisce più facilmente, è l’immissione di materiali e rifiuti solidi nel mare. Una forma d’inquinamento che potrebbe sembrare meno grave rispetto a quella chimico-biologica, ma che ha ricadute estremamente negative su molte forme di vita. Bottiglie e pezzi di polistirolo, reti da pesca abbandonate, sacchetti di plastica e mozziconi di sigaretta possono causare la morte di pesci, mammiferi marini e tartarughe, che spesso restano impigliati in questi oggetti o li ingeriscono scambiandoli per prede. A questo proposito, già nel 2014 un giovanissimo ragazzo olandese di nome Boyan Slat, aveva pensato a un progetto per pulire gli oceani dai rifiuti plastici, sfruttando le correnti marine.

spazzatura e inquinamento marino causano morte animali

Un’isola di spazzatura

Si tratta di rifiuti che in genere presentano tempi di biodegradabilità lunghissimi: in acqua, una gomma da masticare impiega 5 anni a “dissolversi” completamente, una busta di plastica almeno 10 anni, una bottiglia di plastica 1000 anni. È noto che nel Pacifico, fra il 135° e il 155° meridiano ovest e fra il 35° e il 42° parallelo nord, un gioco di correnti ha formato una sorta di immensa isola di spazzatura, chiamata Pacific Trash Vortex o Great Pacific Garbage Patch, che secondo le rilevazioni più ottimistiche è grande come la Penisola Iberica. Ma altri giganteschi accumuli di rifiuti si stanno formando nelle zone subtropicali del Pacifico meridionale, dell’Atlantico dell’Oceano Indiano. Un fenomeno che pare inarrestabile, alimentato dalle tonnellate di plastica che ogni giorno finiscono in mare.

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isole di spazzatura oceano pacifico

© U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration

Catene alimentari a rischio

La pericolosità di questi rifiuti non si esaurisce nemmeno quando l’azione delle onde, del sole e del vento li riduce in frammenti di un paio di millimetri o anche più piccoli: anzi, i piccoli pezzetti di plastica sono ancor più insidiosi, perché possono essere ingeriti facilmente dai pesci che si nutrono di plancton. Come i pesci lanterna e altre specie mesopelagiche che, nella catena alimentare subtropicale, costituiscono l’anello di congiunzione tra il plancton e i vertebrati. In questo modo la plastica – con tutti i contaminanti a essa associati – entra nella catena alimentare e si creano i presupposti perché possa raggiungere i grandi predatori come tonni e pesci spada… finendo anche nella nostra dieta.

L’invenzione di Seabin

Due giovani ragazzi Australiani, Andrew Turton e Pete Ceglinski, si sono chiesti cosa fare, come rendere più sistematica un’operazione di pulizia delle acque che non poteva ridursi alla raccolta manuale dei rifiuti durante le loro uscite in mare. Si sono accorti che, mentre facevano la cosa che amano di più, stare in mare a bordo di una barca a vela o in equilibrio su un surf immersi nella bellezza assoluta della natura, venivano disturbati sempre più spesso dalla presenza di pezzi di plastica, mozziconi di sigaretta, cartacce galleggianti e macchie di gasolio: un’offesa per la vista ma anche una minaccia per l’ambiente, il sintomo di uno stato di salute delle acque tutt’altro che rassicurante.

Così hanno pensato ad una soluzione, hanno avuto un’intuizione e si sono rivolti a qualcuno che fosse in grado di aiutarli a concretizzarla: una società australiana specializzata in tecnologie marittime, la SMS (Shark Mitigation Systems Pty). I prototipi hanno funzionato e oggi il Seabin Project fa parlare di sé in Australia e nel resto del mondo. Anche perché, nel frattempo, Andrew e Pete si sono stabiliti in Europa, scegliendo Palma di Maiorca come base operativa e sede per la messa a punto dei loro bidoni antispazzatura per il filtraggio dell’acqua.

Come funziona il Seabin

Il Seabin funziona come un’aspirapolvere per il mare. Il meccanismo è semplice: quest’aspirapolvere galleggiante, attivo 24 ore su 24, ripulisce le acque superficiali che lo circondano: le aspira delicatamente, le filtra facendole passare attraverso una sacca di fibra naturale e un separatore acqua/olio in cui resta intrappolata la spazzatura, solitamente oggetti e impurità come petrolio e catrame.

Il test nel Mare Nostrum

Più o meno consapevolmente, Andrew Turton e Pete Ceglinski hanno scelto di testare il Seabin dove il mare soffre di più: il Mediterraneo è un bacino quasi completamente chiuso, sempre più inquinato e povero di vita. Una specie di immenso lago che bagna terre spesso densamente popolate, messo a dura prova non solo dalla spazzatura ma anche dalla pesca intensiva, dagli scarichi diretti e indiretti di sostanze inquinanti, da piccoli e grandi incidenti che si verificano durante i trasporti navali e anche da comportamenti illeciti. Secondo l’Unep (United Nations Environment Programme), ogni anno sono oltre 100.000 le tonnellate di idrocarburi che finiscono nel nostro mare, che è il più soffocato al mondo da catrame e petrolio. L’installazione dei Seabin nei porti o a ridosso delle spiagge può dare un contributo significativo, rimuovendo dall’acqua i rifiuti galleggianti prima che le correnti li trasportino verso il mare aperto, a ingrossare le isole di spazzatura.

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Guarda il Video di come funziona il Seabin

Il mare sta a cuore a molte persone

È chiaro che non sarà il Seabin Project a salvare da solo il Mediterraneo, per quanto l’installazione sistematica di questi bidoni all’interno di porti e yacht club europei – un obiettivo concreto, al quale Andrew Turton e Pete Ceglinski puntano con determinazione – possa dare una mano a tenere pulite le acque superficiali, in zone particolarmente esposte al rischio di inquinamento. Ma è significativo che la loro idea abbia avuto successo, approdando sui giornali e nei notiziari, che se ne parli molto nel web e, ancor più, che oltre settemila persone abbiano scelto di sostenere economicamente l’iniziativa, versando una quota e aderendo al crowdfunding.

L’obiettivo fissato al momento del lancio su www.indiegogo.com, tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, era raccogliere 230.000 dollari: una cifra che è stata abbondantemente superata. Tutto questo significa che il mare sta a cuore a molte persone. E che è arrivato il momento di riflettere seriamente su come limitare l’inquinamento delle acque e di intervenire per tutelare le zone più a rischio. L’installazione dei Seabin nei porti o a ridosso delle spiagge può dare un contributo significativo, rimuovendo dall’acqua i rifiuti galleggianti prima che le correnti li trasportino verso il mare aperto, a ingrossare le isole di spazzatura.

Altre cause di inquinamento del mare

Non solo i materiali artificiali ma anche quelli naturali, se immessi indiscriminatamente in mare possono causare problemi a varie forme di vita. Per esempio, la costruzione di grandi spiagge artificiali con sabbia e ghiaia su coste esposte all’erosione fa sì che i granelli di sabbia portati via dal mare intorbidiscano acque fino a quel momento trasparenti: ciò impedisce alla luce solare di raggiungere i fondali, causando la morte della posidonia e di alcuni tipi di alghe. Allo stesso modo, la costruzione di moli e porti lungo la costa può alterare le correnti, e quindi le caratteristiche morfologiche delle coste vicine (con un aumento dei depositi o, al contrario, dell’erosione) e stravolgere gli equilibri degli ecosistemi locali.

Il petrolio che finisce nel mare

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Un’altra insidia per i mari è costituita dagli sversamenti più o meno accidentali di petrolio e derivati, che mettono a rischio sia pesci e alghe sia gli uccelli marini. Questi ultimi, infatti, quando si coprono di petrolio perdono l’impermeabilità e l’isolamento del piumaggio, spesso non riescono più a volare e si intossicano respirando le esalazioni. Tutti ricordiamo le immagini dei grandi disastri dovuti al naufragio di navi cariche di idrocarburi o a incidenti su piattaforme di trivellazione, come nel caso della Deepwater Horizon, nel 2010 responsabile dell’avvelenamento delle coste della Louisiana. Eppure, nel complesso, sono ancora più pericolose le perdite di scarsa entità e i piccoli sversamenti delle petroliere, dovuti per esempio a svuotamenti e lavaggi abusivi delle cisterne in mare aperto.

I danni alle specie animali

Nei confronti di questi fenomeni non vengono attuate le strategie di contenimento del danno e di recupero delle aree contaminate cui le istituzioni ricorrono quando si verificano problemi di proporzioni maggiori. Individuare la miriade di “macchioline” di petrolio che punteggiano i mari è difficile, occorre fare ricorso a radar e tecnologie satellitari, e intervenire per rimuoverle risulta in proporzione più costoso. Inoltre, in questi casi non c’è l’indignazione dell’opinione pubblica a mettere pressione dei governi. La presenza di idrocarburi nelle acque marine può causare infiammazioni cutanee e danni alla vista e al cervello di delfini e balene, determina malformazioni nei pesci e un blocco della crescita nelle larve di molte specie animali. I molluschi, che filtrano l’acqua, accumulano elementi tossici nei loro tessuti, e queste sostanze risalgono la catena alimentare: nei grandi predatori possono arrivare a livelli di concentrazione molto elevati, pericolosi anche per l’uomo.

Petrolio e inquinamento marino causa danni agli alnimali

© Marine Photobank

Il Seabin Project è anche un prodotto ecologico

Il petrolio e i suoi derivati non sono certo gli unici responsabili dell’inquinamento marino. Si potrebbero citare le scorie nucleari “tombate” più o meno legalmente nei fondali oceanici e le fughe radioattive da centrali in avaria come accaduto dopo il terremoto del 2011 a Fukushima, in Giappone. O anche le acque usate per il raffreddamento delle centrali termoelettriche e poi sversate in mare ancora calde, sconvolgendo gli equilibri naturali a vantaggio delle sole specie termofile, quelle cioè in grado di vivere a temperature elevate.

Risparmiare energia e puntare sulle fonti rinnovabili è l’unico modo per limitare progressivamente tutti questi problemi: una questione che va al di là dell’inquinamento delle acque, perché lo sfruttamento di fonti fossili e il nucleare hanno ricadute negative anche sul suolo e sull’atmosfera.

Nel suo piccolo, il Seabin Project punta a essere amico dell’ambiente anche da questo punto di vista. I bidoni, infatti, sono costruiti in plastica riciclata e funzionano con un basso consumo di energia elettrica, necessaria ad azionare la pompa di aspirazione dell’acqua; Andrew Turton e Pete Ceglinski spiegano che presto saranno sviluppati modelli ancora più ecologici, alimentati esclusivamente con energia verde. Per pulire il mare senza sporcare il cielo.

 

Foto di apertura: © Marinv  Dreamstime.com

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