Vertical farming, il futuro dell'agricoltura?

Vertical farming, il futuro dell’agricoltura?

Molti sono i vantaggi dell’“agricoltura verticale”, dal risparmio di spazio e risorse naturali, alla possibilità di produrre cibo di altissima qualità e a km – quasi – zero all’interno degli spazi urbani. Ma le cosiddette “vertical farm” potranno davvero diventare il futuro dell’agricoltura? Scopriamo insieme cos’è il vertical farming e come funziona.

Ogni anno, più di 17 milioni di chilometri quadrati di suolo (ovvero una superficie pressoché pari a quella del Sud America) vengono allocati alla semina e raccolta di prodotti alimentari primari, attraverso tecniche produttive che fanno generalmente capo alla cosiddetta “agricoltura tradizionale”. Si tratta per la maggior parte di grandi estensioni di terreno, che vengono sfruttate in modo intensivo, attraverso l’uso di fertilizzanti e pesticidi chimici, al fine di ottimizzare e velocizzare il raccolto.

Se, da una parte, le conseguenze ecologiche delle colture intensive -quali deforestazione, piogge acide, perdita di biodiversità, malattie colturali, impoverimento del suolo, inquinamento delle falde acquifere e conseguenti cambiamenti climatici- sono già particolarmente allarmanti per la salute del Pianeta Terra e delle sue risorse, dall’altra questo modello di agricoltura potrebbe minacciare irreversibilmente anche la stessa produzione di cibo. Basti pensare che, a causa dei danni provocati dalle colture intensive, negli ultimi 40 anni il 30% dei terreni coltivabili è diventato improduttivo. Non solo i terreni da coltivare sono sempre meno, ma quelli che ci sono spesso non sono più produttivi.

È quindi ormai evidente come le pratiche agricole tradizionali non sono – e non saranno – in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare di una popolazione globale in rapida crescita e sempre più urbanizzata (si stima che entro il 2050 più del 68% della popolazione globale vivrà in città). Questo rende sempre più necessario riconsiderare tempestivamente l’attuale modello globale di produzione alimentare e trovare alternative più sostenibili sul lungo periodo.

Tra le varie proposte avanzate negli ultimi anni per superare la crisi dei sistemi agricoli tradizionali troviamo anche il cosiddetto vertical farming (in italiano “agricoltura verticale”) -anche noto con il nome di skyfarming, una tecnica di coltivazione “protetta” che sfrutta le superfici verticali per massimizzare lo spazio disponibile e ridurre il consumo di risorse, garantendo la possibilità di raccogliere ortaggi di alta qualità anche in contesti urbani, tradizionalmente preclusi all’agricoltura.

Scopriamo insieme che cos’è il vertical farming, quali sono i suoi vantaggi e quali le sfide nella diffusione su larga scala di questo sistema di coltivazione.

Vertical farming: cos’è e come funziona?

“Massimizzazione dell’output” ed “alto contenuto tecnologico” sono tra i termini che meglio descrivono il vertical farming -detto anche “skyfarming”-, una tecnica di coltivazione “protetta” (ovvero in serra) che consiste nel coltivare diverse specie vegetali su più livelli sovrapposti. Un concetto nato negli anni Settanta, ma portato alla ribalta con la pubblicazione nel 2010 di “The Vertical Farm: Feeding the World in the 21st Century”, un vero e proprio “manifesto” del vertical farming, in cui Dickson Despommier, professore emerito di microbiologia e salute pubblica alla Columbia University, propone questa tecnica agricola come una delle migliori soluzioni al problema della mancanza di terre coltivabili.

Riprendendo i termini chiave di cui abbiamo parlato sopra, la massimizzazione dell’output (in questo caso del numero di vegetali coltivabili per metro cubo), è resa possibile da sofisticati sistemi high tech, il cui scopo è quello di individuare e soddisfare le esigenze nutritive della pianta (come acqua, fertilizzanti, antiparassitari) e le condizioni di luce e umidità ideali per il suo sviluppo (attraverso l’uso di LED e di sistemi di irrigazione a goccia), nonché di monitorare costantemente la sua crescita attraverso diversi parametri.

Ecco perché il vertical farming potrebbe consentire di ridurre al minimo i consumi idrici ed energetici legati al mondo agricolo, ma anche di poter estendere l’agricoltura agli spazi urbani, ottimizzando l’uso di una risorsa sempre più scarsa, il suolo.

Le vertical farm possono inoltre essere concettualizzate come degli ecosistemi chiusi dove nulla viene sprecato e tutto viene riutilizzato, partendo dagli scarti di produzione, che sono spesso utilizzati -insieme ai raggi solari- come fonte energetica primaria.

Zero-waste sono anche le modalità di coltivazione usate nelle coltivazioni verticali, che non presuppongono l’utilizzo di terra o di altre risorse limitate. Tra le principali troviamo infatti:

  1.  l’ idroponica, che consiste nell’irrorare le radici delle piante con una soluzione di acqua, minerali e sostanze nutritive attraverso apposite canaline, sistemi galleggianti o di irrigazione a goccia;
  2.  l’acquaponica che combina la precedente con l’acquacoltura. In questo caso, le radici sono direttamente immerse in appositi acquari che ospitano diverse specie di pesci. Questi sono in grado di apportare sostanze nutritive utili alla vegetazione, consentendo di risparmiare notevolmente sui costi di fertilizzazione delle piante;
  3. l’ aeroponica, che consiste nel nebulizzare le radici delle piante con apposite soluzioni composte da acqua e sostanze nutritive. Con questa tecnica, il risparmio di acqua è massimo, ma i costi iniziali sono molto elevati.

Data la complessità di questi sistemi, il vertical farming è particolarmente adatto – almeno all’attuale stato di avanzamento tecnologico – alla coltivazione di piante di piccole dimensioni, a breve ciclo di vita ed alta resa, come insalata ed altre verdure a foglia verde, funghi, pomodori, germogli, bacche, microgreens, e piante aromatiche.

I vantaggi del vertical farming: meno sprechi e più resa

Come abbiamo visto, il vertical farming è una tecnica agricola basata sull’utilizzo di ecosistemi chiusi in grado di autoalimentarsi e di produrre cibo sano e controllato.

Tra i principali vantaggi del vertical farming troviamo quindi:

  1. Risparmio di risorse naturali, in particolare acqua e suolo: l’agricoltura verticale consente di limitare l’impiego del suolo a scopo agricolo e di prevenirne l’impoverimento a seguito del consumo di sostanze nutritive. Ridotto drasticamente è anche il consumo di acqua, che può arrivare fino al 90% in meno: secondo Plant Lab, tra le aziende leader nel settore dell’indoor farming, la quantità d’acqua necessaria per produrre un chilo di lattuga passa da 250 litri in campo aperto, a 20 in serra e ad un solo litro in vertical farm;
  2. Maggior resa agricola: sempre secondo Plant Lab, la quantità di lattuga prodotta al metro quadro in campo aperto è di circa 3,9 chili, che salgono a 41 chili in serra e tra gli 80 e i 120 chili in vertical farm;
  3. Non vengono impiegati pesticidi, erbicidi ed altri fertilizzanti chimici: poiché le vertical farm sono sistemi chiusi e controllati, non sussiste alcun bisogno di utilizzare alcun tipo di prodotto artificiale per allontanare eventuali insetti e agenti patogeni. In questo senso, i prodotti del vertical farming possono nella maggior parte dei casi essere classificati come “biologici”;
  4. Ortaggi di alta qualità e sicuri anche fuori stagione: la possibilità di rispondere in maniera controllata e personalizzata alle esigenze delle diverse piante consente di produrre ortaggi di alta qualità e sicuri per la salute umana, anche fuori stagione;
  5. Produzione sul territorio urbano: come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, la popolazione urbana è in forte crescita. Questo significa che la necessità di produrre cibo sano e di alta qualità nelle prossimità dei centri urbani è sempre più impellente. In questo senso, le vertical farm potrebbero essere un’ottima soluzione per ridurre la distanza che separa il luogo in cui viene coltivato un prodotto e i consumatori finali. Allo stesso tempo, però, il rischio di contaminazione del cibo derivante dagli inquinanti gassosi presenti nell’aria urbana è ridotto al minimo, in quanto questo viene prodotto all’interno di ambienti chiusi e protetti;
  6. Meno emissioni: collegato al punto precedente, accorciare le distanze tra “campo” e consumatore finale consente di tagliare notevolmente le emissioni di gas serra tradizionalmente associate al trasporto merci a lunga distanza, particolarmente elevato per prodotti fuori stagione e provenienti da Paesi lontani (che in questo caso possono essere coltivati in qualsiasi momento dell’anno);
  7. Modalità di lavoro più sicure ed etiche: le pratiche di coltivazione high tech utilizzate nelle vertical farm consentono di fornire agli operatori agricoli condizioni di lavoro più sicure ed etiche.

Nonostante i vantaggi del vertical farming siano notevoli, diversi sono ancora i limiti che ne precludono – almeno al momento – l’adozione su larga scala.

I limiti del vertical farming: costi di produzione elevati e tecnologia difficile da esportare

Pur riconoscendone i grandi vantaggi, le vertical farm sono ben lontane dall’essere dei sistemi di produzione perfetti.

Tra i principali limiti del vertical farming troviamo infatti:

  1. Costi di produzione molto elevati: i costi di installazione, gestione e mantenimento degli impianti di coltivazione verticale sono molto elevati, il che richiede sia grandi capitali di investimento iniziali che sostanziosi costi di produzione. Allo stesso tempo, la necessità di assumere personale altamente specializzato va ad aumentare ulteriormente le spese di gestione delle coltivazioni verticali;
  2. Prezzi sopra la media: gli elevati costi di produzione delle verdure si riflettono anche negli elevati prezzi al consumatore, sicuramente sopra la media degli altri prodotti venduti sul mercato;
  3. Possibilità di coltivare solo determinate piante: la gamma di piante coltivabili in vertical farm è ancora molto ridotta e si limita per lo più ad alcune tipologie di ortaggi a foglia verde, funghi e bacche. Esclusi invece, perlomeno allo stato attuale, sono legumi e cereali, alimenti alla base della dieta Mediterranea;
  4. Tecnologia ad alto capitale e difficile da esportare in Paesi sottosviluppati: come abbiamo visto poco fa, la realizzazione delle vertical farm richiede elevati investimenti in capitale ad alto contenuto tecnologico. Questo rende molto difficile esportare questo modello produttivo nei Paesi sottosviluppati, che avrebbero invece grande bisogno di tecniche agricole in grado di aumentare la resa alimentare;
  5. Piccole variazioni nelle condizioni all’interno del sistema possono essere deleterie per la crescita delle piante: gli impianti delle vertical farm sono molto sensibili ed utilizzano speciali tecnologie in grado di monitorare e mantenere costanti temperatura e livello di umidità all’interno delle farm. Piccole variazioni in queste condizioni, anche se di breve durata, possono risultare deleterie per l’intera produzione;
  6. Rischi per la sopravvivenza degli insetti impollinatori: l’impollinazione manuale potrebbe creare gravi problematiche per la sopravvivenza e la riproduzione degli insetti impollinatori, che si vedrebbero privati delle loro fonti primarie di sussistenza. Questo sarà vero soprattutto nel caso in cui le vertical farm diventino il modello produttivo dominante.

Il vertical farming in Italia e all’estero: una realtà in crescita, che però rimane per pochi

Con oltre un valore di mercato destinato a raggiungere i 20 miliardi di dollari entro il 2026, quello del vertical farming è uno dei settori destinato a crescere più rapidamente nei prossimi anni.

La possibilità di produrre elevate quantità di cibo in maniera sicura, controllata ed efficiente, nonché di ridurre al minimo l’uso di acqua e suolo sono solo alcuni dei punti di forza di questa modalità di coltivazione, che promette di rendere l’agricoltura un’attività sempre più adatta anche al contesto urbano e, in un futuro ancora prossimo, di configurarsi come una soluzione al problema dell’approvvigionamento alimentare di una popolazione mondiale in rapida crescita.

Tuttavia, allo stato attuale, il vertical farming rimane ancora un settore di nicchia, che detiene ancora soltanto una minima quota percentuale della produzione mondiale di frutta e verdura. Senza contare gli evidenti limiti in termini di varietà delle specie coltivabili e possibilità di esportare la tecnologia produttiva alla base delle farm, nonché gli elevati costi di installazione e gestione delle stesse. Costi che si sono alzati anche a seguito della recente crisi energetica, che ha messo in ginocchio diverse start up europee operanti nel settore, quali la statunitense AppHarvest e la farm di Bedford, a nord di Londra.

Per quanto riguarda il nostro Paese, diversi sono gli esperimenti di vertical farming all’attivo sul territorio: tra questi la start-up Agricola Moderna di Melzo (nella città metropolitana di Milano), il Capriolo Future Farming District costruito all’interno del Parco dell’Oglio ed la Planet Farms di Cavenago (Milano). Quest’ultimo progetto è nato dall’intuizione di una coppia di amici di origine milanese, Luca e Daniele, ed ha l’ambizioso obiettivo di diventare la più grande vertical farm d’Europa, innovando profondamente il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo.

In conclusione, si parla di un settore ancora molto giovane, con buone prospettive di crescita ed innovazione, che dovranno però essere accompagnate dalla capacità di trovare soluzioni facilmente implementabili e replicabili per la risoluzione dei maggiori problemi che, ad oggi, limitano la scalabilità delle farm.

Condividi questo articolo


Iscriviti alla newsletter di Hellogreen